Recensioni “Saluti dall’esilio”

La società dello spettacolo in cui sempre più siamo immersi vive di apparenze e sa percepire solo il presente, lasciando spazio quindi a quanto si afferma, a quanto si fa vedere, senza possibilità di verifiche. Ecco allora che un uomo politico dei nostri giorni, Aldo Piazza (dal cognome emblematico), ha acquisito, nel quotidiano colloqui con gli avventori della sua tabaccheria, la capacità di adattarsi a ogni situazione, a ogni intervistatore, così da risultare alla fine sempre gradito e come l’interlocutore giusto. Questo lo porta al successo, ne fa il politico del momento, almeno sino a quando, dopo un incidente con conseguente trauma cranico, perde questa capacità, non sa più mentire, non riesce a non essere se stesso, per di più sotto elezioni.
Allarmato dalle prime esternazioni imbarazzanti, il suo entourage provvede ad allontanarlo dal Paese, a esiliarlo sull’isola greca di Cefalonia col suo cinico e venduto ghostwriter, Sandro, fino alla chiusura dei seggi. Sull’isola, tuttavia, arriva Isa, giornalista militante e indipendente, legata a Sandro, suo fratellastro e suo opposto, da un’attrazione irrisolta e da sentimenti tormentati. Ma il suo vero fine è riuscire a intervistare Aldo Piazza, sfruttando la sua coazione a dire la verità.
Paola Baratto, già autrice di vari romanzi, qui punta sulla suspence, ma in realtà gioca su un altro piano, meno superficiale, in cui il gioco tra verità e menzogna, tra apparire e essere si rivela meno semplice di quel che parrebbe e ci conquista con una sua implicita morale, non priva di una nota
ironica.
E, dopo Sandro, voce narrante della prima parte, sarà lei la protagonista e narratrice della seconda parte del libro, in realtà precedente l’altra e la sua missione a Cefalonia. Ed è in queste pagine che l’autrice sorprende il lettore, approfondendo il discorso e portandolo su una dimensione romanzesca e meno sociologica, grazie alla figura di Oreste, maestro di musica in pensione e gran concertatore pirandelliano di trame.

(Ansa)

La verità ai tempi della finzione. Vero e verosimile, realtà e fabulazione: quale spazio ha la sincerità in stagioni dove l’apparenza conta più di ogni altra cosa? Se si assume la convinzione che basti mettere un microfono ed una telecamera davanti ad un viso rubicondo per avere un parere importante, cinque minuti dopo qualcuno cercherà di manovrare quelle «voci di piazza» per condurre l’opinione dove fa più comodo. Aldo Piazza – il nome è già un presagio – è il protagonista del nuovo romanzo di Paola Baratto. Ruvido senza essere becero, ha una predisposizione naturale ad assecondare l’interlocutore. Al suo paesotto, tra Emilia e Liguria, nella tabaccheria che gestisce con la famiglia, ha affinato l’abilità di sfornare opinioni come pantaloni che si adattano ad ogni fondoschiena, senza fare una piega. Quando finisce tra il pubblico di uno dei programmi televisivi pomeridiani che dibatte a vanvera di tutto e di tutti, spicca subito come l’uomo giusto al posto giusto. Un abile professore, potente quanto defilato «suggeritore» televisivo, lo nota, intravede le sue potenzialità e con una serie di esperimenti lo porta a diventare l’«uomo comune» più ascoltato d’Italia. Affiancato da un segretario-ghostwriter, con testi adatti ed adattati, marcia sicuro sulla strada del successo. Tutto va a gonfie vele. E con i tempi che corrono, la candidatura alle elezioni politiche è lo sbocco naturale. Ma per un incidente, perde la capacità di mentire. Che fare? In attesa di soluzioni definitive, lo si spedisce su un’isola, in una sorta di convalescenza-esilio…
Ma quando pensate d’aver capito tutto – ecco il «solito» romanzo sulla finzione televisiva e sull’opinione manipolata – l’autrice scarta di lato e vi porta a scoprire come la questione sia ben più complessa e profonda. Lo fa mettendo in scena Oreste, maestro di musica che appare ormai «perso» nei suoi anni. E invece insegue un suo mondo di fabulazioni, trasformandosi in diversi protagonisti di storie fantasiose per «liberarsi dalla prigionia della verità». E sentirsi vivo.
Mentire e fingere, per regie manovrate o per intima vocazione, non è mai una scelta univoca. E anche la scrittura ha ruoli ambigui. A seguire Aldo Piazza sull’isola greca è Sandro, l’autore che ha scelto di vendere la sua abilità al miglior offerente; ad assistere Oreste nella breve vacanza in Liguria è Isa, giovane introversa che insegue il mito di un giornalismo libero. Lo scrittore venduto e la giornalista d’assalto sono fratellastri: si attraggono e si respingono – non solo simbolicamente – in un incessante rapporto di amore e odio. I loro sentieri, per un’occulta regia, si incrociano e infine s’intrecciano nell’ineludibile sconfitta.
Con stile inconfondibile e originale, con una scrittura limpida nel disincanto degli argomenti trattati, Paola Baratto costruisce un gioco di incastri dove il tempo, i personaggi e gli ambienti, si alternano in meccanismi perfetti. Divertito lo stile, profonda l’analisi. Come la scrittrice bresciana già aveva fatto nei romanzi precedenti, affrontando i temi dell’ambiente («Solo pioggia e jazz») e dell’eredità generazionale («Carne della mia carne»), dopo aver descritto la fine dei miti giovanili («La cruna del lago») e dipinto un affresco grandioso dello sfaldamento dell’Europa («Di carta e di luce»). La Baratto prosegue così nell’itinerario personalissimo lungo le contraddizioni del nostro tempo. Giunge al cuore dei «nodi» intricati senza avere la pretesa di scioglierli. Perché «la rinuncia o l’azione sarebbero state entrambe fonte di rimorso».

(Claudio Baroni – Giornale di Brescia)

C’è un esilio fisico, fatto di distanze, di confini negati, di reclusione fisica. E c’è un esilio interiore, fatto di distacco e disincanto verso la realtà in cui ci è dato vivere. Alla prima allude il titolo, alla seconda la tessitura dei protagonisti di «Saluti dall’esilio» (Manni, pp. 180, euro 18) l’ultimo romanzo di Paola Baratto, scrittrice e giornalista bresciana. La cerchia via via più larga dei suoi lettori (ed estimatori) può esultare per la nuova prova dell’autrice che assicura quattro ore di lettura ad alta tensione stilistica, intellettuale e letteraria.
L’esilio del titolo è quello in cui è temporaneamente relegato, su un’isola greca, Aldo Piazza, perfetto uomo qualunque, tabaccaio in un paese appenninico che per merito della propria ovvietà e dell’oscuro disegno di un guru mediatico assurge per alcuni anni al rango di maitre a penser televisivo, fino all’inevitabile candidatura parlamentare. A condivider la sua vita e le sue sorti è Sandro, talentuoso ghostwriter, che ne orienta apparizioni, pareri, pensieri in un’osmosi conflittuale e perfetta.
Tutto fila liscio fino a quando un banale incidente con annesso trauma cranico riduce l’«Aldone nazionale» a non saper più fingere, a vivere una vera e propria «coazione alla sincerità» che rende non più filtrate e dunque imbarazzanti le sue sortite. Si rende necessario, appunto, l’esilio nell’isola ionica dove a un certo punto approda anche Isa. È la sorellastra di Sandro, a lui legata da un rapporto irrisolto, ma è soprattutto una giornalista non digiuna di slanci ideali che ha la missione di realizzare un’intervista dell’uomo qualunque diventato inconsapevole bocca della verità. Come abbia fatto a risolversi a un’impresa che implica attrazione, repulsione e tradimenti con Sandro, lo rivela la seconda parte del libro. Quella in cui si narra il viaggio di Isa a fianco di Oreste, maestro musicale sul viale del tramonto che in un vacanza non programmata a Rapallo e dintorni si rivela personaggio pirandelliano che riscrive il proprio passato e schiude alla giornalista un diverso punto di vista sulla verità.
La trama, figlia della capacità visionaria dell’autrice, dice da sola della contemporaneità di un romanzo che parla di noi e dell’Italia di oggi, imbevuta di telecrazia e mediocrità, glorie vacue e familismo amorale, personaggi improbabili e intellettuali spregiudicati, relazioni pericolose e avventurieri della politica. Un Paese in cui «la visibilità era diventata il sacro Graal che tutti cercavano di conquistare» e la riconoscibilità mediatica dava «un’autorità incondizionata: chi la possedeva poteva fare qualunque cosa, anche ciò che non sapeva fare».
La penna di Paola Baratto cesella quattro personaggi indimenticabili. Aldo Piazza, l’uomo qualunque, ha la potenza del personaggio di un Rabelais del Duemila: intere platee mediatiche si rispecchiano in questa figura che «macina soluzioni improntate all’etica della faciloneria» . Oreste, l’anziano maestro, sopravvive nella casa-gineceo abbandonandosi a finti torpori, per tuffarsi poi in una nessuna e centomila esistenze fuori dalle mura domestiche dove inventa ruoli attuali e storie passate sempre diverse, avventurose o torbide. È lui a esortare la giovane giornalista a «liberarsi dalla prigione della verità».
Poi c’è Sandro, voce narrante della prima parte del libro, ghostwriter che «ancora ragazzo aveva fatto un falò di tutte le illusioni» e s’è rassegnato con accenti dandystici a «una vocazione mercenaria».
Isa, che si impone subito all’attenzione con quel suo «incarnato pallido ammaccato dal sonno», si iscrive con Sandro alla «schiera dei rassegnati». Ma poi scopriamo che non è così: continua a scrivere poesie telegrafiche, «haiku metafisici dall’allusività lieve e policroma», è macerata dal «lavorio dell’inquitudine», conserva «residui infiammabili d’indignazione». Sarà lei, forse per uno di questi residui o forse perché grazie a Oreste ha scoperto che «la menzogna, a volte, è un forma di salvezza», a portare a termine l’intervista sovversiva, impresa risolutiva e peraltro incompiuta.
Con questa trama e il suo inimitabile stile Paola Baratto regala, dall’esilio in cui sono costretti i suoi meravigliosi talenti, un testo visionario e dolente, intimo e corale, a cui non pare azzardato accostare il sostantivo della perfezione..

(Massimo Tedeschi – Bresciaoggi)

L’effimero che governa il nostro tempo, la falsità che lo incipria e l’ambiguità che lo deforma, sono i binari sui quali scorrono le vicende del sesto romanzo di Paola Baratto. Si intitola Saluti dall’esilio (Manni editore, pagine 178, € 18) e l’autrice, con linguaggio perforante s’addentra nei labirinti degli studi televisivi dove ignari spettatori vengono coinvolti in dinamiche sconosciute, addomesticati e usati in funzione del tornaconto del burattinaio.
Uno di questi, Aldo Piazza, predisposto alla manipolazione, acquista visibilità e fama, ma quando per chissà quali alchimie non sa più svolgere al meglio il suo compito e diventa pericoloso per il baraccone mediatico, viene “esiliato” in un’isola greca, assistito da Sandro, insipido guardiano. Sull’Isola giunge anche la giornalista Isa, sorellastra di Sandro, alla ricerca di uno scoop, espediente nel quale inglobare vita e fantasia per offrire al pubblico scodelle di melassa e cicuta. Il suo rapporto con Sandro, ambiguo e incestuoso, riassume il mondo bacato del presente racchiuso in un rettangolo luminescente.
D’altro tenore la funzione di Oreste, figura altrettanto emblematica nel caos delle ossessioni che investono il mondo contemporaneo. Come facce di una medaglia, Aldo e Oreste sono mentitori di professione, ognuno compreso nel “vizio assurdo” di un’esistenza che lascia cadere le sue reti nel mare della mediocrità, ma anche nei colorati ed esclusivi acquari. Ne parliamo con l’autrice.
Due vicende di falsità per un mondo di esperta ambiguità? Chi sono veramente Aldo e Oreste?
«Oreste è il contraltare di Aldo. Profondamente diversi per storia, carattere e cultura, utilizzano entrambi la menzogna, ma per fini diversi. Nessuno dei due lo fa in maniera inconsapevole, ma per Aldo è lo strumento per acquisire e poi mantenere la popolarità tanto desiderata, per Oreste è qualcosa di più nobile, di strettamente legato al potere dell’immaginazione, all’istinto vitale, al desiderio di sognare ancora, anche se al passato, fantasticando su cosa avrebbe potuto fare nella vita. In lui, ho voluto vedere una specie di piccola metafora della letteratura, la quale inventa storie, manipola la realtà, ma, forse, può rappresentare davvero un elemento salvifico. Non per l’umanità intera ma, perlomeno, per il singolo. Mentire, per chi scrive, è una forma di onestà».
La televisione è il modello plagiante della società contemporanea che crea miti, ma guai a trasgredire alle regole dello spettacolo. Quanto e come manipola la tv?
«Non la demonizzo per partito preso, sono cresciuta con la tv degli anni Sessanta ed è un peccato che ora sia utilizzata male perché potrebbe essere un grande strumento. Spegnerla non ci salva e non ci serve. Beniamino Placido diceva che il cambiamento passa dalla televisione. Per chi scrive dell’oggi guardarla è necessario. A volte ci si rende conto di come sia cambiata la società anche guardando certi programmi. Ma se non si hanno le difese d’uno sviluppato senso critico, l’ottundimento del cervello è in agguato. Quello che mi sconforta è l’opera di banalizzazione che viene portata avanti. Non c’è argomento che sia al riparo dal tentativo di abbassare il livello, di mettere tutto sullo stesso piano, Dante Alighieri e il libro del comico del momento».

(Francesco Mannoni – L’Unione Sarda)

A questo romanzo Paola Baratto affida una provocazione. Alla narrazione delega domande poste con un’ironia ad un passo dal sarcasmo. Dove comincia e dove finisce la rappresentazione della realtà? Se lo chiede raccontando una storia. Un opinion maker e il suo ghostwriter: il primo vive la promozione sociale che dallo spettacolo lo traghetta ad un agone sociale più alto, mentre il secondo rimane nell’ombra. Ad un certo punto la realtà, nella sua quotidiana ruvidezza, mette in discussione la menzogna (o forse la necessità) della rappresentazione.

(Francesca Dallatana – Gazzetta di Parma)

Il neo vip pop, venuto dal nulla, che spopola in tivu grazie alle sue virtù: ignoranza totale, assoluta mediocrità e la sana faccia tosta di chi non sa… Un abile ghostwriter, un cervello clandestino, intelligente e disilluso; una bella trentenne ipersensibile e scontrosa, battagliera e disarmata. Tra loro rapporti difficili, e contorti segreti…
E’ un’antropologia del presente di rara efficacia quella disegnata nel nuovo romanzo di Paola Baratto. Una storia avvincente animata da personaggi a tutto tondo, vivi e sorprendenti per la loro verità.
Saluti dall’esilio (Manni ed. pp. 178 €18) – il sesto romanzo di un’autrice (bresciana) tanto raffinata quanto appartata – si fa leggere d’un fiato. E poi rileggere, con il respiro adatto a coglierne bellezza e profondità. Inseguendo una narrazione sapiente che si snoda col ritmo serrato di una scrittura essenziale; a dire di noi – così spesso esiliati da noi stessi – e dei nostri inquieti giorni.
Un’isola greca, aspra e spoglia; due uomini dalle carriere appaiate: un Capo e il suo segretario, lontani dall’Italia, nella noia di una forzata solitudine. E’ la prima parte del racconto, narrato con lucido distacco dall’assistente Sandro: Mi guadagno il pane come testa di Aldo Piazza. Lui, il Piazza (nomen omen?!), l’Aldone nazionale amato dall’uomo della strada, s/Piazza tutti; la spudorata ovvietà del suo dire, l’etica ferrea della faciloneria sono la garanzia di un grande successo mediatico; e dunque, presto, anche politico.
Candidato eccellente al Parlamento, improvvisamente bloccato da uno strano incidente, è allontanato dal patrio suolo, nell’isolato fiordo mediterraneo. E poi?
Poi la storia prosegue, avanza, ritorna, perché la verità è un’avventura complessa.
Ad accorgersene è soprattutto Isa, la giornalista – e sorellastra di Sandro – voce narrante della seconda parte del romanzo, trait d’union tra il mistero dell’esilio e il bisogno di verità.
Ardua impresa che le intense pagine del libro raccontano aprendo a paesaggi e personaggi diversi.
L’appennino emiliano con il suo variegato zoo umano; la riviera ligure con l’attuale metastasi edilizia dentro un corpo di antica bellezza. La seduzione del passato, il sortilegio della menzogna, la relatività del reale… Come insegna Oreste, l’anziano maestro di musica, fedele alle differenti note dei suoi ricordi, ai suoi molti io…
Nell’età della precarietà, si può essere se stessi solo in modo multiforme. Forse.
Oppure adagiarsi beati – e uniformati – nell’affollato gregge di una società telediretta, nel tempo della deriva populista e del potere dell’uomo comune… Lo spiega l’esimio Professore, prestigioso intellettuale, narciso, snob e scaltro.
Così va il mondo… anche nella finzione letteraria di Paola Baratto: un altro dono “Di carta e di luce” (come titola un suo precedente bel romanzo).
Un testo prezioso, frutto – maturo – di una penna rigorosa e lieve; di uno sguardo – disincantato e sereno – su quel gioco inutilmente crudele, su quel diabolico raggiro che a volte è la vita.

(Piera Maculotti – www.gruppo2009.it)