Intervista “Dante aveva la forfora”
“Dante aveva la forfora” è il titolo di un libro messo a disposizione sul sito di Paola Baratto. Lo si può scaricare gratuitamente. Una specie di regalo ai lettori, insomma.
Non si tratta, peraltro, del nuovo romanzo di Paola bensì di un romanzo nuovo da Paola… La differenza è resa chiara già dal nome dell’autrice.
Partiamo proprio dallo pseudonimo usato, P.E. Baratto. Perché questa scelta?
Potrei rispondere, rifacendomi ad uno dei personaggi da commedia degli equivoci che si incontrano nel testo, che in realtà l’autrice non sono io, ma una specie di sorella immaginaria.
Più seriamente, volevo evidenziare che si tratta di un’opera molto diversa dalle mie precedenti. Quindi, ho inserito il mio secondo nome, Edy, ma in un modo scherzoso, che richiama ad esempio P.G. Wodehouse.
Diversa? In che modo?
Per la prima volta è un romanzo di genere. Scritto unicamente per divertimento, anche se, mi rendo conto, con un’intenzione ambiziosa: far sorridere o, meglio ancora, ridere i lettori. So che non è facile. Per questo, aldilà del tono leggero, ho ugualmente dedicato molta cura al linguaggio, senza comunque dimenticare che l’io narrante è quello di un venticinquenne dall’indole scanzonata.
Possiamo parlare di romanzo umoristico, quindi?
Sì. Oppure di una sorta di pochade. In ogni caso il registro è decisamente comico, buffonesco.
Questo spiega anche la decisione di farlo uscire in questa forma…
In un certo senso sì… Ma più che sfiducia nelle potenzialità del romanzo, vi era la consapevolezza che nel nostro Paese non c’è una tradizione di romanzo umoristico. A parte i testi di satira, che ha intenti più elevati, in Italia vengono pubblicati libri che si basano su trovate divertenti oppure libri di comici, che riassumono il meglio del loro repertorio o decidono di esplorare altri registri. Non troviamo, invece, molti esempi di quel romanzo umoristico leggero, con trama e personaggi, di cui è ricca la tradizione inglese o che in Francia si è espressa nelle pochade. Sarebbe interessante indagare le ragioni di questa lacuna…
Lo spunto di “Dante aveva la forfora” da dove nasce?
Il motore del romanzo è sicuramente l’esuberanza del protagonista, Palmiro Bottego. Un ragazzo senza impiego fisso, ma con molte velleità, che si definisce “un amabile deficiente”. È tutt’altro che stupido, ma spesso trova più conveniente fingersi tale. La sua filosofia lo induce a non prendere la vita troppo sul serio, quindi a non mettere mai la testa a posto. La classica “faccia da schiaffi”, alla quale, alla fine, si perdona tutto.
Visto tramontare il sogno di diventare un comico, Palmiro si mette in testa di fare lo scrittore. E, buttato giù il primo libro, per entrare più facilmente nell’ambiente editoriale diventa segretario personale d’un noto letterato gastronomo, Glauco Pavoni. Il quale, anziano scrittore, è sì uomo di successo, ma pure ossessionato dall’idea d’avere un fratello immaginario. Da qui in avanti il protagonista s’infilerà in un ginepraio di equivoci e pasticci che costituiranno la sostanza dell’intreccio.
Attorno a lui ruotano molti personaggi, alcuni dei quali un po’ particolari…
Naturalmente. Dai suoi più stretti familiari, come la sorella minore Serena, il fratello maggiore Flavio o il gatto Piergiorgio… alla Matrona, l’arguta signora anziana di cui il ragazzo è damo di compagnia, fino ai nuovi incontri dell’ambiente letterario. Tutte persone con le quali il protagonista entra in sintonia o, più spesso, in allegro conflitto.
L’ambiente letterario, appunto. Fermo restando che si tratta di un’opera di fantasia, possiamo rintracciare qualche traccia autobiografica?
Innanzitutto c’è uno sguardo autoironico. Ho peccato anch’io, da esordiente, di certe ingenuità e presunzioni. E penso di conoscere quei tratti psicologici legati, per esempio, alla vanità degli scrittori.
Ma il romanzo registra poi situazioni che, per quanto possano apparire paradossali, fanno parte del bagaglio di esperienze negative, mie o di altri. Naturalmente, per accrescerne l’effetto comico, ho provveduto a qualche ritocco…
Possiamo dire, quindi, che alla base del libro ci sia una rielaborazione di esperienze frustranti o quantomeno difficili da “digerire”?
Sì. E con effetto terapeutico, per quanto mi riguarda. Alcune delle considerazioni che il protagonista fa sono dolorosamente vere, pur se messe in forma di battuta. Ma è appunto questa forma che mi ha reso possibile ripensare a certe disillusioni con spirito più lieve. Avrei potuto usare armi stilistiche più feroci, invece il tono è generalmente buffonesco e persino i personaggi più “odiosi” possono risultare a loro modo simpatici. Un piccolo momento liberatorio, insomma.
Una terapia da condividere?
Lo spirito è in parte questo. Mi piacerebbe che altri autori come me o aspiranti tali potessero considerarlo allo stesso modo. Ridiamone insieme, pur sapendo che il giudizio a mente fredda su certi meccanismi resta negativo.
E il titolo? Lo spirito dissacratorio arriva a prendersela anche con il Sommo Poeta?
Tutt’altro. In questo caso Dante è visto come vittima. Si riferisce ad uno dei personaggi che animano la corte di Pavoni ed è una punzecchiatura a quella parte della critica, non certo la più seria, che per vendere libri fa leva su notizie biografiche, spesso morbose, dei grandi della letteratura. Su dettagli che nulla hanno a che vedere con le loro opere.
Questo romanzo aprirà una nuova fase? Avremo d’ora in avanti solo P.E. Baratto?
È solo una parentesi. Una boccata di leggerezza. Ora mi sto già dedicando ad altro. Anche se questo Palmiro non mi abbandona più. Ogni tanto è salutare averlo accanto. Ormai è come uno di famiglia. Come un fratello, neppur tanto immaginario….