Recensioni “Dante aveva la forfora”
Dante aveva la forfora? Provate ad immaginarlo quello strato fastidioso di scagliette che prosaicamente si deposita sul serto d’alloro, che untuosamente biancheggia sulla tunica porpora del Sommo Poeta… Forse non si poteva trovare immagine più efficace per dire che il mondo della letteratura italiana d’oggi è abitato da re nudi, o sciattamente agghindati. Più forfora che fosforo. Questo romanzo è nato per gioco.
Forse per vendetta. Certamente per sfida, perché bisogna avere ritmo ed arguzia per evitare che un testo umoristico scada rapidamente nell’insopportabile. Così l’autrice si cela dietro una lieve maschera che richiama il più celebre degli autori del genere (P.G. Wodehouse) ed offre gratuitamente (serve, al più, una buona stampante) sul web l’insolito romanzo. Che tanto insolito non è, come vedremo.
Protagonista e voce narrante è Palmiro Bottego, ragazzo che sul finire della giovinezza gioca le ultime carte per diventare scrittore. Anche a costo di farsi passare per un tongano. Se la cava grazie alla casa che la nonna, sempre in viaggio, lascia libera ed all’occupazione come «damo di compagnia» presso «la Matrona», ricca vedova dai molteplici interessi. Vive con la sorella, sempre pronta ad innamorarsi di qualcuno purché anche solo mostri d’accorgersi di lei. Ed è in costante contrasto con il fratello maggiore, broker rampante e donnaiolo impenitente. Grazie alla Matrona, Palmiro viene assunto per l’ennesimo impiego precario: sarà il segretario di Glauco Pavoni, re delle rubriche gastronomiche e organizzatore di premi letterari. E piomba nel «barnum» che si agita attorno al mondo dell’editoria.
Più macchiette che personaggi. C’è l’agente letteraria romana, Lalla Di Lella, pretenziosa e invadente, sempre impegnata a «piazzare» le sue improbabili poetesse dell’Est. C’è Livia Sarpi, inacidita «autorità» delle conferenze. C’è Vitrivio Triviari, poeta d’avanguardia che passa il suo tempo ad inventare trovate per sorprendere. C’è Gigio Pignocchi, critico che sta sempre scrivendo un saggio sull’ultima sciocchezza che riguarda qualche autore celebre… E c’è Porzio, il fratello immaginario di Glauco Pavoni, entità incontrollabile e incombente, che alla fine… raddoppierà, sconvolgendo ogni cosa.
Commedia degli equivoci in un mondo dove la logica dominante è lo scambio di favori, dove tutti sono alla ricerca di un autore «sconosciuto», possibilmente «esotico», che regali alla loro casa editrice il prossimo best seller. E intanto si accontentano di surrogati. Un mondo scombinato al punto che un foglietto con le indicazioni sul come avviare un videoregistratore, grazie all’expertise di un autore d’avanguardia, diventa composizione sperimentale da premiare perché rivelerebbe un nuovo talento poetico.
Paola Baratto (è lei che si cela dietro quella sigla) usa il registro umoristico con l’abilità che solo pochi finora avevano avuto modo di apprezzare. Il pubblico più ampio dei suoi lettori resterà piacevolmente sorpreso dal tono frizzante e pungente. Per il resto ritroverà quel mondo di giovani che cercano di sopravvivere ai loro sogni in questa stagione di precariato diffuso (come in «Carne della mia carne»), ritroverà l’ipocrita società dell’immagine che soffoca nella melma montante del kitsch (come in «Solo pioggia e jazz»). E soprattutto ritroverà la scrittura levigata e limpida della Baratto, stavolta ancor più brillante, per reggere il ritmo del genere che ha scelto. E alla fine, il sorriso lascia il retrogusto amaro di una disamina impietosa.
(Claudio Baroni – Giornale di Brescia)
Un moto di ribellione, una via sovversiva all’editoria fai-da-te, una salutare terapia di distacco e disincanto da qualche amarezza patita nei confronti del sistema editoriale. Tutto questo si rispecchia nella soluzione adottata da Paola Baratto, talentuosa scrittrice bresciana, di pubblicare il suo ultimo lavoro (“Dante aveva la forfora”) sul proprio sito internet, liberamente scaricabile e stampabile. Vinti le difficoltà e un pizzico di straniamento che derivano dal leggere un libro “vero” in formato A4, il romanzo offre una lettura vorticosa e a tratti esilarante, che strappa sorrisi molto british (un po’ Wodehouse e un po’ Bennet) ma anche sonore risate, in un gioco di specchi e rimandi assai intrigante.
L’autrice si firma P.E. Baratto rispolverando il secondo nome, Edy, e ricorrendo a un vezzo molto letterario. Le iniziali anagrafiche della scrittrice sono le stesse del protagonista, Palmiro Bottego, che ha il cognome in comune con un celebre esploratore parmigiano. E se il Bottego storico si perdette nel cuore di tenebra dell’Africa il Palmiro Bottego del romanzo finisce per perdersi nel dedalo salottiero e vacuo del sistema editoriale nostrano. Bottego (nel senso di Palmiro) è un giovane non più giovanissimo, battutista agrodolce intriso di autoironia, con un passato irrealizzato da comico, legami parentali ingombranti (una sorella che studia e vive con lui, un fratello broker baciato dal successo con le donne) e prospettive lavorative perlomeno incerte. Quando al ruolo di “damo” di compagnia abbina quello di aspirante scrittore, per lui inizia una rincorsa spasmodica alla pubblicazione dell’opera prima. Traguardo che appare meno remoto quando la sua datrice di lavoro, la Matrona, gli procura un impegno come segretario particolare di un temuto e riverito scrittore-gastronomo, fulcro di un premio attorno a cui ruotano scambi e favori non propriamente limpidi e ossessionato da un fratello immaginario che alla fine si rivelerà presenza corposa e solida e innescherà equivoci, agnizioni scombinate, colpi di scena da pochade postmoderna.
Paola Baratto applica la sua raffinatezza stilistica, la sua scrittura controllatissima, a un’operazione linguisticamente inedita per lei, quasi un rovesciamento (un doppio proiettato fuori di sé): il romanzo poggia su un parlato molto sciolto, controllato ma diretto, con variazioni che vanno dal cafonal romanesco al radical chic, al padano un po’ bauscesco.
La fiera delle vanità messa in scena da P.E. Baratto mette alla berlina un sistema letterario còlto nei suoi tic e nelle sue vacuità: la ricerca dello scrittore esotico purché alla moda, i premi patteggiati, una critica ormai estenuata che punta sul gossip e il particolare biografico ad effetto (da cui il dante con la forfora) più che al riconoscimento di pregi letterari, tessuti narrativi, virtù stilistiche. Palmiro Bottego tenterà di piegare a proprio vantaggio questi meccanismi, salvo trovarsene beffato e sostanzialmente espulso.
Quello di P. E. Baratto è insomma un riso amaro verso un sistema chiuso.
(Massimo Tedeschi – Bresciaoggi)